Lasciando perdere le ca**te religiose e trascendentali, di solito ci si suicida per sfuggire a situazioni di cui non vediamo la fine o da cui non sappiamo come uscire senza sofferenze letteralmente insopportabili, sia psicologiche che fisiche.
Generalmente direi che è un atto di codardia, a meno che la propria morte non porti il bene di altri e per questo si mediti il suicidio.
Mi concedo di sforare in considerazioni personali che vanno un po' oltre la domanda iniziale.
Penso che si mediti il suicidio quando le alternative distruggerebbero la nostra vita più di quanto sia possibile ricostruirla. Per esempio la perdita di ricchezze insostituibili, non necessariamente monetarie. Anche la perdita di posizione sociale, non necessariamente definibile come una posizione aziendale, politica o in generale di potere, può essere la molla che ci spinge.
A volte si medita il suicidio per evitare di affrontare persone che abbiamo in qualche modo tradito e la cui stima consideriamo come un valore insostituibile che dava senso alla nostra vita.
C'è anche chi si suicida per sfuggire ad una macchia indelebile sul proprio curriculum che rende impossibile tornare ad una vita normale o soddisfacente.
Ritengo, in generale, che il fatto che una persona decida per il suicidio dipenda da quanto questa persona è in grado di vedere oltre ciò che sta perdendo.
Purtroppo oggigiorno siamo fin troppo legati alle nostre proprietà e alla nostra posizione nel gruppo, per riuscire a farci una ragione di simili perdite. Sembriamo incapaci di ricominciare da zero in un altro posto, questo perché la nostra psiche si fossilizza in un "territorio" e non vede niente al di fuori di esso.
In questo senso, per queste persone, la morte è senz'altro l'alternativa migliore al limbo sociale.
Sconsiglio caldamente il suicidio: a morire buttandosi da un ponte si fa sempre in tempo, meglio tentare di restare a galla cercando orizzonti alternativi a quelli che abbiamo perso. =)