Il deserto è sabbioso: davanti e intorno a me, per decine e decine di chilometri, solo un infinita distesa di sabbia piana, in tutte le diverse sfumature del marrone. La monotonia del paesaggio è interrotta solamente da qualche rarissima palma, circondata dal puro deserto e apparentemente senza alcuna fonte di nutrimento, sebbene si intuisca sotto di essa, in profondità, la presenza dell'acqua. Sopra il deserto è possibile vedere la cupola perfetta del cielo, di un chiarissimo azzurro, assolutamente senza nubi. L'aria è tersa. Nel mio deserto il sole e la luce sono molto forti, ma non c'è calore: la temperatura è fresca, e non ci sono differenze di temperatura tra le zone in ombra e quelle al sole.
Nel mio deserto non esistono dune, come non vedo oasi.
Non sono arrivato al deserto in maniera cosciente: il deserto si è aperto improvvisamente davanti a me, come nel momento in cui ci si sveglia da un lungo sonno e si torna alla coscienza; non ho memoria di quanto precede il deserto: posso solo immaginare il buio e poi, di colpo, la sabbia e la luce intensa. Il mio primo ricordo è di me, in piedi, che apro gli occhi in mezzo al deserto.
Il cubo si erge enorme davanti a me: non poggia sul terreno ma è levato in aria, ma non tanto in alto da non poterlo toccare; è molto grande e di un particolare celeste tendente alla trasparenza, come una bottiglia: è fatto di vetro, e le sue facce sono molto lisce al tatto e fredde, nonostante si trovi sotto il sole del deserto. Il cubo ha la particolarità di non avere ombra, ed è immobile.
La scala inizia esattamente dalla sabbia, senza trovarsi sopraelevata rispetto ad essa. La scala è fatta di ferro, esattamente come le scale antincendio che si trovano all'esterno degli edifici: è interamente dipinta di grigio e non porta in nessun luogo; sale per circa una decina di scalini, per terminare in un pianerottolo e svoltare bruscamente alla mia sinistra di 90 gradi: dal pianerottolo parte un altra rampa di circa 10 scalini, anche questi terminanti in un secondo pianerottolo, che però è l'ultimo elemento della scala. Mentre le due rampe di scale precedenti e il primo pianerottolo sono protetti da una balaustra, essa manca nell'ultimo pianerottolo, un semplice quadrato di ferro sospeso nel vuoto. La scala si presenta ruvida al tatto, odora di vernice appena data e anche questa è fredda, nonostante il sole del deserto. A differenza del cubo, la scala ha l'ombra.
Arrivato alla sommità della scala, guardo infine verso il basso e alle spalle della scala vedo un cavallo nero, che prima non avevo notato. Scendo e mi avvicino. Il cavallo è uno splendido animale, e pur non conoscendone le caratteristiche immagino sia di razza araba, e che sia un purosangue. L'animale è imponente, la mia testa arriva all'altezza del suo muso. Il colore dominante è il nero: è nero il mantello, lucente e serico al tatto, sono nere le zampe ed è nera la splendida criniera, molto liscia. Gli occhi sono liquidi e molto dolci, di un colore simile all'ambra. Gli zoccoli marrone scuro. Il cavallo è una presenza priva di minaccia e assolutamente amica. Il cavallo ha ombra.
Il cavallo ha una zampa anteriore ferita, un taglio non più sanguinante nella gamba anteriore sinistra: la ferita gli provoca dolore,e le mosche del deserto lo infastidiscono. Uso la sciarpa morbida che porto al collo per usarla come bendaggio provvisorio, perché la sabbia e le mosche non irritino la ferita: dovrà reggere finché non troverò qualcosa di meglio. Lo accarezzo dolcemente fino a calmarlo e fargli dimenticare il dolore.
Abbraccio fortemente il suo collo e appoggio la testa a lato del muso, continuando ad accarezzarlo: ho visto le nubi di tempesta sorgere alle sue spalle come una cattedrale d'inferno, ma non posso fare nulla per fermarle: farò del mio meglio per difendere l'animale, e con esso me stesso: mi è chiaro che insieme siamo più forti. Le nubi sono di un blu scuro, violento e minaccioso: tra di esse lampeggiano i lampi, e sotto di esse la polvere si alza turbinosa in una montagna oscura e compatta, che si avvicina a grande velocità. Le nubi oscurano il sole, la tempesta è vicina: di colpo ci troviamo investiti da un vento fortissimo, che trasporta i finissimi granelli di sabbia, taglienti come coltelli. La sabbia ci turbina attorno e si infila nei miei vestiti, ma resto abbracciato all'animale, ad occhi chiusi: l'aria è veramente gelida e il sole è scomparso, ma assorbo il calore dell'animale. Ho avuto molta paura quando ho visto le nubi, ma dal mio cavallo traggo il coraggio necessario a resistere alla tempesta. L'unica cosa a cui penso è stringere l'animale e continuare a lottare: so che prima o poi finirà anche questo e ci lascerà più forti: l'importante è lottare per me stesso e per chi ci è accanto, ed è importante aiutare chi si trova come noi in difficoltà sotto la stessa tempesta. Fin dall'inizio e durante la tempesta, il cavallo è rimasto sempre immobile: adesso ha solo chiuso gli occhi.Restiamo avvolti nella sabbia e nel vento: attorno a noi, il deserto, in cui siamo le uniche creature viventi.
@scusa la domanda, ma perché lo fai? A che cosa ti servirà interpretare i nostri deserti?
Non ho mai fatto test simili, ma mi sono molto divertito =) aspetto con ansia il mio profilo.
Grazie.